Ombre_colorate


Adriana_MAGA

Adriana usò – ne sono quasi sicuro – due proiettori di diapositive per fare la sua dimostrazione di questo esperimento sulle ombre colorate nel corso di una sua conferenza – credo – alla Scuola Normale – tra gli anni ’70 e gli anni ’80. Allora conoscevo poco la storia delle ombre colorate e dei cosiddetti “colori illusivi”, ma l’esperimento mi lasciò al momento del tutto esterrefatto. In uno dei due proiettori, Adriana aveva posto una pellicola colorata (rossa o verde), e nell’altro nulla. Dunque uno dei proiettori illuminava una parte dello schermo (diciamo quella a destra) con una luce colorata (assumiamo che la pellicola fosse rossa e quindi la luce a destra dello schermo apparisse rossa). L’altro proiettore illuminava di una luce bianca la parte sinistra dello schermo. All’inizio le due zone illuminate, rispettivamente dall’uno o dall’altro proiettore, erano spazialmente distinte; e dunque – lo ripeto – a destra dello schermo si scorgeva una superficie illuminata di color rosso e di forma più o meno quadrata; a sinistra invece un riquadro analogo, illuminato da una luce bianca intensa che risaltava sul bianco grigio dello schermo, illuminato solo dalla luce ambiente della stanza. Fin qui niente di particolare. A un certo punto Adriana – aiutata da Giovanni Bottaro (tecnico fotografo del Laboratorio che di solito dava anche una mano con i proiettori di diapositive)– ruotò uno dei due proiettori (diciamo quello di destra con la luce rossa) in modo tale che la luce rossa cadesse in parte sul riquadro di sinistra illuminato dal proiettore bianco. La cosa venne fatta con una certa precisione, così che la zona centrale illuminata dalle due luci fosse un settore verticale di larghezza quasi perfettamente uguale al settore di destra (che riceveva solo luce rossa), e al settore di sinistra illuminato esclusivamente dalla luce bianca. Ci si aspettava (e ci si aspetterebbe) che il settore di destra apparisse rosso intenso, quello centrale rosso poco saturo (per la componente di luce bianca che riceveva dal proiettore di sinistra), e quello di sinistra bianco perché riceveva unicamente la luce bianca.  Ma il risultato fu questo solo per il settore di destra che continuava ad apparire rosso. Per il resto quello che accadde fu stupefacente e fece pensare a qualche subdolo “inganno”, a una specie di sortilegio di “maga Adriana”. Sì, perché il settore centrale apparve bianco (sebbene ricevesse anche la luce rossa), e fin qui c’era da essere sorpresi, ma solo fino a un certo punto. L’incredibile è quello che avvenne per il settore di sinistra illuminato solo dalla luce bianca del proiettore corrispondente. Questo settore divenne, sebbene con un attimo di ritardo rispetto all’operazione fatta da Adriana e Giovanni, verde, decisamente verde. Insomma, a volerla far breve, apparve sullo schermo – come Adriana annunciava con un sorriso malizioso – la bandiera italiana: verde a sinistra, bianco al centro, e rosso a destra. Poi Adriana ripeté la cosa con una variazione: utilizzò una pellicola verde per il proiettore di sinistra, e tolse quella rossa dal proiettore di destra. Con i proiettori sistemati in modo che vi fosse il settore centrale illuminato dalle due luci (in questo caso dalla luce verde che proveniva da sinistra e da quella bianca che veniva invece dal proiettore di destra), la magia si riprodusse, di nuovo la bandiera italiana, verde, bianco e rosso. In questo caso quello che  sembrava impossibile da spiegare era la sensazione di luce rossa che appariva nel settore di destra illuminato esclusivamente dalla luce bianca. Riassumendo, nelle due variazioni dell’esperimento, si producevano sensazioni di colore apparentemente inspiegabili sulla base delle caratteristiche cromatiche dei proiettori. Nel primo caso la luce “magica” era il verde che appariva nel settore di sinistra, nel secondo caso quella rossa che si produceva in quello di destra.

Adriana_Bandiera illusiva___

L’esperimento “magico” di Adriana della “bandiera illusiva”. Combinando parzialmente i riquadri illuminati dal proiettore rosso di destra e da  quello bianco di sinistra (A), si dovrebbe ottenere l’effetto illustrato in B (con una desaturazione della luce rossa nel settore centrale dovuta all’azione della luce bianca del proiettore di sinistra). Percettivamente invece il settore centrale appare bianco, mentre quello di sinistra assume una decisa tonalità verde (come illustrato in C), sebbene, a ben riflettere sulla cosa, la luce che lo colpisce non è per nulla mutata (è rimasta quella bianca del proiettore di sinistra). Nella situazione reale dell’esperimento (ma non nel caso dell’immagine sullo schermo del computer o dello smartphone), della cosa si può trovare conferma semplicemente guardando verso il settore di sinistra attraverso un tubo, in modo da eliminare l’effetto percettivo delle luci circostanti. Il settore di sinistra apparirà allora bianco.
Io sapevo allora di esperimenti di contrasto cromatico: gli anni passati in un laboratorio di fisiologia visiva, in cui spesso si parlava, oltre che di scienza, anche di arte, mi avevano familiarizzato con gli effetti di contrasto cromatico (sapientemente sfruttati dai pittori e anche dai disegnatori di stoffe e tappeti). Ma in genere questi effetti avevano un’estensione parziale limitata. Al bordo di un quadrato rosso apparivano linee verdi, linee dominate cioè dal colore “complementare” (nel senso della teoria tricromatica della visione), e viceversa; e poi  il giallo faceva apparire righe blu, e viceversa. Ma, nell’esperimento con i due proiettori fatto da Adriana, il verde appariva su una superficie estesa, un intero settore che poteva anche avere la larghezza di un metro o più. Dopo che avemmo smaltito la sorpresa e l’incredulità, Adriana ci diede dei cartoncini arrotolati in modo da formare dei tubi, e ci chiese di guardare al settore verde attraverso uno di questi tubi con un occhio, mentre l’altro doveva rimanere chiuso. Magia: la luce che fino a un attimo prima ci sembrava verde, ridivenne bianca. Ci disse poi di aprire l’altro occhio, e la luce sul settore di sinistra ritornò verde. Insomma la nostra brava illusionista sembrava giocare con noi a suo piacimento. Ci disse poi della spiegazione del fenomeno che aveva dato Hermann von Helmholtz, il grande scienziato tedesco che aveva dedicato allo studio della visione molto del suo impegno di ricercatore a tutto campo, tra fisiologia e fisica.
Più tardi, quando, seguendo lo stimolo del Professor Moruzzi, mi sono dedicato alla storia della scienza, ho scoperto, studiando l’interesse degli studiosi del passato per le ombre colorate, la prima descrizione di questo esperimento. Fu pubblicata nel 1794 nelle Philosophical Transactions della Royal Society di Londra da Benjiamin Thompson, Lord Rumford, singolare figura di scienziato e avventuriero dell’epoca dei Lumi. Riprendo la descrizione di questo esperimento da un libro che ho pubblicato nel 2005 (Lo zufolo e la cicala. Divagazioni galileiane tra la scienza e la sua storia), il primo mio libro segnato dall’incontro letterario e sceintifico con Galileo.
RumfordLord Rumford (Benjamin Thomson, 1753-1814) è particolarmente famoso per i suoi studi sul calore che portarono alla definizione dell’equivalente calorico del lavoro e spianarono la via alla prima legge della termodinamica. Questi studi nacquero dalla sua riflessione sulle ragioni del riscaldamento del metallo durante la trapanatura del ferro per produrre i tubi dei cannoni. Si interessò a molti altri aspetti della scienza e – in particolare  – alla fotometria e alla visione, ma la sua vita ebbe una varietà di dimensioni e di avventure. Visse tra l’America dov’era nato, l’Inghilterra di cui era suddito, la Baviera che servì in qualità di ministro delle forze armate (chiamato dal principe elettore Carlo) riorganizzando l’esercito e creando  istituzioni  sociali a favore dei poveri; e infine la Francia, dove si stabilì nell’ultima parte della sua vita. A  Londra fondò, sul modello dell’Istituto delle Scienze di Bologna, la Royal Institution, che diede impulso al progresso della scienza inglese, specialmente con   Humphry Davy  e  Michael Faraday i suoi primi lecturers. Come molti scienziati del suo tempo, fu anche una spia (al servizio dei tedeschi). Nel 1804 sposò Marie-Anne Paulze, vedova di Lavoisier (la quale si proponeva di ricreare con  Rumford la proficua collaborazione scientifica e culturale che aveva avuto col primo marito). Il matrimonio non fu però felice,  e i due si separarono dopo soli  tre anni. Nei suoi esperimenti sulle ombre colorate Rumford riconobbe che il colore illusivo [imaginary] dell’ombra che si creava per l’azione di una luce di una data tonalità era complementare rispetto alla luce che lo produceva. Nel secondo articolo che pubblicò sulle ombre colorate, egli racconta di aver eseguito  i suoi primi esperimenti sull’argomento mentre era a in una locanda [inn] a Firenze, nel 1793, e di averli mostrati con soddisfazione a due aristocratici inglesi, Lord e Lady Palmerston, rimarcando  il loro stupore quando si resero conto della natura “immaginaria” dei colori percepiti. [Rumford, 1794b]
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Ecco cosa si legge tra le pp. 305 e 309 dello Zufolo e la cicala (il testo di Rumford è trascritto in color marrone):

Nella sua prima comunicazione alla Royal Society del 1794, dopo aver descritto le ombre gialle e blu che si proiettano su una carta bianca illuminando un oggetto contemporaneamente con la fiamma di una candela e con la luce solare lasciata filtrare attraverso l’apertura di una finestra in una giornata di cielo azzurro, Rumford si pone in questi termini la domanda sulle ragioni del fenomeno:

Per quel che riguarda i colori di queste ombre, non v’è dubbio che essi derivano dalle differenti qualità della luce dalla quale esse sono illuminate; non mi appare evidente però come esse si producono: che debba essere di una tinta giallognola, l’ombra corrispondente ad un raggio della luce diurna, illuminata com’è dalla luce gialla di una candela, non è sorprendente; ma perché poi è blu l’ombra corrispondente alla luce della candela, e illuminata solo dalla luce apparentemente bianca del cielo?

E a questa domanda risponde, evidenziando il carattere misterioso del colore blu dell’ombra:

A prima vista pensai che questo potesse essere dovuto al colore blu del cielo, ma trovando poi che la luce diffusa del giorno, riflessa dal tetto della casa vicina coperto con una neve bianchissima appena caduta, produceva lo stesso colore blu, e, se possibile di una tinta ancora più bella, fui costretto ad abbandonare questa opinione. [Rumford 1794a, p. 109]

Rumford esegue poi una serie di esperimenti, utilizzando vetri colorati di vario tipo, per produrre luci di diverso colore e verificare la dipendenza del colore apparente dell’ombra percepita dal colore delle luci utilizzate per produrle; alcuni di questi esperimenti li fa, egli dice, «con scopi precisi [pointed views]», altri del tutto a caso, e semplicemente nella speranza di fare qualche scoperta accidentale in grado di rivelare la causa di quelle apparenze che sembravano ancora avvolte in una grande oscurità e incertezza» (Rumford 1794a, p. 113).

Nel corso di questi esperimenti usa normalmente due lampade, e, di solito, pone davanti a una di esse un vetro colorato in modo da studiare come muti il colore dell’ombra in rapporto alla luce che la proietta (o a quella che la illumina). Genera in questo modo ombre di vari colori: con un vetro giallo diventa di colore blu la zona d’ombra che riceve solo la luce non schermata (e quindi più bianca), mentre, con un vetro blu, accade l’opposto, e la zona in ombra rispetto alla luce colorata appare di colore giallo.
Variando il tipo di vetro colorato si possono indurre, nelle zone in ombra, altri tipi di colori non presenti in modo evidente nelle luci utilizzate, mentre le ombre sono decisamente prive di colore quando lo stesso tipo di vetro colorato viene posto dinanzi a entrambe le lampade. A un certo punto, forse senza uno scopo ben preciso, Rumford decide di utilizzare per questo «balletto delle luci», invece che le lampade artificiali, raggi di luce naturale, praticando due aperture nella finestra. Il modo in cui descrive quello che accade è degno di essere citato per esteso, per lo stupore e il pathos della scoperta che traspare anche in questo singolare scienziato, tutt’altro che poeticamente perduto nei suoi divertissements sperimentali (all’epoca di questi esperimenti Rumford viveva a Monaco ed era stato incaricato di riformare l’organizzazione dell’esercito bavarese):

Non avendo a disposizione altri vetri colorati per proseguire con questi esperimenti, tolsi via le candele, e praticai due fori nelle parti superiori delle imposte di due finestre vicine, feci entrare dall’alto nella stanza due raggi da differenti parti del cielo, e, disponendo le cose in modo che due ombre distinte venissero proiettate dal cilindro sulla carta, venni deliziato da un succedersi di apparenze molto dilettevoli. Le ombre si tingevano con una infinità dei più inattesi colori, e spesso dei più belli, che variando continuamente, a volte lentamente, a volte con inconcepibile rapidità, affascinavano in un modo assoluto gli occhi, e, imponendo l’attenzione più appassionata, procuravano un divertimento tanto nuovo quanto incantevole. Il giorno era ventoso con nuvole in rapido movimento, e sembrava come se, ogni nuvola che passava, portasse con sé una completa successione di cangianti tonalità, come tinte le più armoniose. Se un qualche colore poteva dirsi predominante era il porpora; ma tutte le varietà di marrone, e quasi tutte le varietà degli altri colori che io ricordassi di aver visto, apparivano l’una dopo l’altra, e v’erano persino colori che mi sembravano del tutto nuovi. [Rumford 1794a, pp. 114-15]

A un certo punto Rumford viene preso da un dubbio, e decide di ritornare ai suoi esperimenti con le lampade artificiali.
Pone, come aveva fatto di solito, un vetro giallo dinanzi a una di queste (esperimento che infallibilmente faceva apparire un colore blu nella zona d’ombra che non riceveva la luce gialla), ma ricorre ora all’accorgimento di osservare esclusivamente la zona in ombra, utilizzando allo scopo un lungo cilindro (in modo da non subire alcuna influenza dalle luci circostanti).
Quello che accade allora appare davvero sconcertante. Lasciamo dunque che sia il nostro appassionato filosofo naturale a descrivere in dettaglio i suoi sorprendenti risultati:

Riflettendo sulla gran varietà di colori osservati nel corso di questi ultimi esperimenti, molti dei quali non sembravano avere la minima corrispondenza con i colori apparenti delle luci che li producono, cominciai a sospettare che i colori delle ombre potessero, in molti casi, a dispetto della loro apparente brillantezza, essere null’altro che delle illusioni ottiche [optical deceptions], dovute ad effetti di contrasto o a qualche altra azione esercitata sull’occhio dagli altri colori. Per venire a capo di questo con un esperimento diretto, procedetti nel modo seguente. Avendo disposto le cose in modo da rendere, con l’uso di una riga piatta invece che del cilindro,1 l’ombra molto più larga, chiusi la stanza completamente per impedire l’ingresso della luce esterna, e mi preparai a fare l’esperimento con due lampade di Argand2 ben in ordine, che venivano fatte ardere producendo la massima brillantezza possibile; essendomi accertato che la luce emessa fosse dello stesso preciso colore, per il fatto che le ombre prodotte erano del tutto incolori,3 diressi un tubo di dodici pollici di lunghezza, e quasi un centimetro di diametro, rivestito all’interno di carta nera, contro il centro di una di queste due ampie superfici in ombra; guardando poi attraverso questo tubo con un occhio, mentre l’altro era chiuso, tenni fissa l’attenzione sopra l’ombra, mentre un assistente ripetutamente interponeva una lamina di vetro giallo dinanzi alla lampada la cui luce corrispondeva all’ombra che io osservavo, e con uguale frequenza la rimuoveva. Il risultato di questo esperimento fu davvero straordinario [striking], e confermò appieno i miei sospetti sulla fallacia delle molte apparenze negli esperimenti precedenti. Ben lungi dall’osservare alcun cambiamento nell’ombra verso cui era diretto il mio sguardo, non ero neppure in grado di dire quando il vetro giallo era dinanzi alla lampada e quando no; e nonostante l’assistente spesso esprimesse il suo stupore per il sorprendente splendore e per la bellezza della luce blu che appariva proprio sull’ombra che io stavo osservando, io non potevo ravvisarvi la minima apparenza di un qualsivoglia colore. Non appena però allontanavo il mio occhio dal tubo, ed osservavo l’ombra con tutto ciò che la circondava, e cioè le altre ombre rese realmente gialle dagli effetti del vetro giallo, e la carta bianca che per la stessa causa aveva acquistato una tinta giallognola, l’ombra in questione appariva a me, come al mio assistente, di un bel colore blu. Ho ripetuto poi lo stesso esperimento con l’ombra dall’apparenza blu nella condizione con la luce del giorno e la luce della candela, e con un risultato completamente identico. [Rumford 1794, pp. 115-16].


Benjamin Thompson, Count Rumford, (1794a) An account of some experiments upon coloured shadows,  «Philosophical transactions of the Royal Society», vol. 84, pp. 107-18.
Benjamin Thompson, Count Rumford, (1794b) Conjectures respecting the Principles of the Harmony of Colours,  (read to the Royal Society on 20th February 1794) pubblicato in Complete works, 1: 333-340.
I due articoli di Rumford sulle ombre colorate, (tratti dai suoi Complete works pubblicati per la prima volta nel 1802 (e in seguito più volte riedito) sono disponibili in forma digitale in vari siti (per esempio GOOGLE BOOKS) cliccare qui per accedere alla copia scaricata dal sito ARCHIVES.ORG (da questo sito si può scaricare, in vari formati, l’intera collezione dei Complete works di Rumford pubblicata dalla American Academy of Arts and Sciences)

 


*Giovanni, con cui ho avuto modo di parlare mentre scrivevo questo testo, ha ricordi dell’episodio più nitidi dei miei. Mi ha confermato che l’occasione fu una lezione alla Scuola Normale di Pisa. Mi ha detto anche che, a un certo punto, fu costretto a interrompere per un po’ di tempo la dimostrazione sui colori  illusivi: temette che il calore della lampada del proiettore potesse bruciare la pellicola colorata. Certamente io ho assistitoin una occasione successiva anche a un’altra dimostrazione di Adriana . Nella ripetizione di questo esperimento che facevo immancabilmente a Ferrara ai miei studenti, o in altre occasioni, il pericolo dell’incendio non si presentava perché utilizzavo due lavagne luminose, invece che due proiettori. 
1Negli esperimenti precedenti Rumford o il suo assistente avevano utilizzato di solito un cilindro come oggetto da illuminare per produrre un’ombra ben delineata (e in qualche caso anche semplicemente un dito).
2 Si tratta delle lampade a olio con tubo cilindrico per la stabilizzazione e protezione della fiamma inventate dal fisico e chimico svizzero Aimé Argand, e comunemente utilizzate per usi domestici prima della diffusione dell’illuminazione elettrica.
3 Si noti come la ripetuta constatazione che le ombre appaiono incolori utilizzando luci di simili caratteristiche porti Rumford a utilizzare questo criterio come verifica dell’identità delle luci.

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