A Mario
Piccolino
di Simone Pangia
Non ho mai capito
il perché di tanto affetto e so per certo di non averlo meritato.
Come quella
volta che entrasti nel mio ufficio col tuo passo malfermo, il pantalone lento
sotto la cintola e il sorriso ben stretto tra le labbra sottili. Non fumavi ma
solo perché avevi le mani occupate. Fuori la città si preparava al Natale. Per
me era un giorno come tanti. Il pc, la tastiera, il
consueto via vai di voci a cui dare risposte.
Alzai gli
occhi e ti diedi il “buongiorno”. Dentro pensavo: “Ho i minuti contati, ci
mancava Piccolino”. Nel palmo stringevi un pacchetto regalo e, sorridendo, mi
dicesti che era per me. Fui sorpreso, anche un po’ imbarazzato. E forse ti
sarai chiesto perché non fossi, semplicemente, felice.
La verità è
che mi sentivo in colpa.
Io e le mie
corse, le ore che filano dritte e si perdono tra le carte dell’ufficio, l’ansia
di essere sempre all’altezza. Sapevo che non potevo ricambiare il tuo gesto se
non con l’unica cosa che per te aveva davvero importanza: il calore che dà
l’essere accettati, il far parte di qualcosa che somigli a una famiglia.
Ci ho
provato ma credo di non esserci riuscito.
Il
saltimbanco col naso da pagliaccio, l’artista sregolato e pungente, il blogger
antimafia, il fotografo compulsivo, il presenzialista seriale, sempre e
comunque protagonista. Eri tutte queste cose ma posso dire di aver avuto il
privilegio di guardarti senza maschera. L’uomo che sfidava tutto e tutti
provava orrore per la sua fragilità e soffriva, ogni giorno, per le ferite di
cui la vita aveva tappezzato il suo cammino. Me ne parlavi ogni tanto e non te
ne sarò mai grato abbastanza.
Quella
mattina sembravi felice. Eri passato da Enza per comprarmi l’ultimo libro di
Roberto Tortora, un altro amico volato via troppo presto per capire quanto in
realtà gli dovessi. Feci la cosa peggiore che si possa fare in un momento come
quello. Dissi: “Mario, non preoccuparti, l’ho già letto. Puoi tenerlo, se
vuoi”. Giovanni si fece scuro in volto. “E no, Simone, i regali non si
rifiutano”. Aveva ragione, ovviamente. Ma non rifiutavo il tuo dono. Non
riuscivo a fronteggiare il fatto che un uomo di 70 anni squattrinato e malmesso
potesse spendere denaro solo per il piacere di testimoniarmi la sua amicizia.
Non so quante volte t’ho redarguito da che ti conosco. “Butta quella
sigaretta”, “togliti davanti che anch’io devo fare la foto”, “non avvicinarti
ai banchi del Consiglio”, “non comprare gratta e vinci”, “non fotografare i
bambini. C’è la legge…” “La legge? I bambini sono puri – dicevi -. E tu vuoi
che io non li riprenda?”
Questo eri
tu, Mario. Non so chi ti abbia ucciso*, né
perché. So solo che ora niente è più come prima.
* questo
testo è stato scritto da Simone pochi giorni dopo la morte di Mario, quando
l'identità di colui che lo ha colpito a morte non era nota
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